TRA IL 2013 E IL 2016 GLI STIPENDI SONO INFATTI SALITI DI UN TRASCURABILE 0,2 PER CENTO CONTRO IL +2,2 PER CENTO REGISTRATO DALLA TOTALITÀ DEI LAVORATORI. PERALTRO, IL CONFRONTO È PENALIZZANTE ANCHE CON I MANAGER DEI PAESI VICINI: PIÙ 2 PER CENTO IN FRANCIA, PIÙ 5,9 PER CENTO IN GERMANIA
Milano U n triennio di stipendi sostanzialmente fermi. È l’amaro bilancio per i manager delle aziende operanti in Italia, secondo quanto emerge dall’ultimo Osservatorio Mercer sul costo del lavoro 2016, che Affari & Finanza pubblica in anteprima. Tra il 2013 e il 2016 gli stipendi sono infatti saliti di un trascurabile 0,2% contro il +2,2% registrato dalla totalità dei lavoratori. Peraltro, il confronto è penalizzante anche con i manager dei Paesi vicini, dato che nello stesso arco di tempo il progresso è stato del 2% netto in Francia, del 3% in Gran Bretagna, del 4,1% in Spagna e del 5,9% in Germania. Numeri che «riflettono la maggiore difficoltà del nostro Paese a intercettare la strada della ripresa economica», sottolinea Elena Oriani, Information Solutions Leader di Mercer Italia, e pongono una zavorra sulla capacità di intercettare i migliori talenti presenti su un mercato che si muove sempre più su scala internazionale. Per altro va considerato che l’indagine è stata condotta esclusivamente sulle multinazionali (377 quelle esaminate in Italia), che tendono ad avere politiche retributive più omogenee tra i vari Paesi, per cui probabilmente il differenziale sarebbe anche maggiore a considerare le imprese operanti esclusivamente nella Penisola. Se però si guarda alle retribuzioni totali, l’Italia non è messa così male, con una media 2016 (a considerare solo la quota fissa) di 109.088 euro annui. La Germania e la Gran Bretagna offrono
retribuzioni più generose (rispettivamente 121.304 e 120.389 euro), mentre la Spagna e la Francia sono poco dietro (108.426 e 103.163). «A livelli assoluti non siamo messi molto peggio di altri Paesi, ma il trend più recenti evidenzia una divaricazione in corso», aggiunge Oriani. In tutti i casi si tratta di cifre al lordo, che poi vanno tarate in base alle aliquote fiscali presenti per ciascun Paese. In Italia questi livelli retributivi (come tutti i redditi superiori ai 75mila euro) sono soggetti a un prelievo del 43% (anche se poi andrebbero aggiunte le addizionali), in Germania del 42%, in Francia del 41% e in Gran Bretagna del 40%, con la sola Spagna a superarci con il 47%. La lenta ripresa dell’economia nazionale impatta anche sulle retribuzioni variabili. «Nell’ultimo anno i compensi legati ai risultati sono stati inferiori ai target preventivati pagando dazio a performance di bilancio spesso deludenti», aggiunge l’esperta. Che sottolinea come sia in corso un cambiamento di prospettiva: «Sempre più accordi spostano la quota variabile dagli obiettivi di breve a quelli di lungo termine per consentire la valorizzazione dell’attività svolta dal manager al di là di un periodo temporale ristretto». L’indagine di Mercer si sofferma anche sulle retribuzioni degli operai e in questo caso i risultati sono migliori per il nostro Paese. Nell’ultimo triennio le retribuzioni sono cresciute nell’ordine del 2,7%, poco sotto la Germania (+3,1%) e la Svizzera (+3,2%), mentre in Gran Bretagna sono balzate del 5,8%. In controtendenza la Francia, che ha registrato un calo dello 0,4%, mentre la Svizzera ha limitato il progresso allo 0,9%. Anche in questo caso la prospettiva cambia se però si passano a considerare i compensi in valore assoluto. In Italia un operaio guadagna mediamente 29,512 euro lordi annui, contro i 30.754 di un britannico, i 28.740 euro di un francese e i 26.377 di uno spagnolo. Gli operai più “ricchi” sono quelli tedeschi, che portano a casa mediamente 39.875 euro, un risultato che Oriani spiega «con il tradizionale approccio socialdemocratico della Germania in ambito occupazionale, che tende a limitare le differenze retributive legate ai differenti ruoli». Un altro fattore che premia gli operai tedeschi è l’ampia presenza di aziende di grandi dimensioni e di realtà attive nell’industria e nella chimica, che tradizionalmente pagano meglio della media. Il terzo capitolo della ricerca curata da Mercer riguarda gli andamenti retributivi riguardanti i diversi settori merceologici, a considerare la totalità degli assunti senza distinzioni di ruolo. Detto che in Italia la crescita media è stata del 2,2% tra 2013 e 2016, tra i settori cresciuti maggiormente vi sono l’information technology (+2,6%) e le life science (+2,4%), «il primo per l’elevato tasso di crescita delle aziende operanti nel comparto, il secondo perché tradizionalmente meno legato al ciclo economico », spiega l’esperta. Mentre performance inferiori alla media sono state registrate dal comparto energetico (il calo del prezzo del petrolio ha inciso sui bilanci delle imprese di settore) e dei consumer goods (penalizzato da consumi sostanzialmente stazionari). In entrambi i casi il progresso è stato limitato al 2%. «Anche se a livello percentuale le differenze sono di pochi decimali, assumono grande rilievo sul costo del lavoro per aziende che hanno decine o centinaia di dipendenti», conclude Oriani.