Ma che lavoro cercano i giovani?

Fonte: Corriere del Veneto | 14 Febbraio

Nel 2016 erano 110 mila gli under 29 veneti a caccia di impiego

VENEZIA Li hanno considerati talmente «bamboccioni» (Tommaso Padoa Schioppa, 2007) e «choosy, schizzinosi» (Elsa Fornero, 2011) che se vogliono espatriare, tanto meglio, «perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi» (Giuliano Poletti, 2016). Ma al di là delle (infelici) definizioni di alcuni ministri, che lavoro cercano i giovani veneti che non lo trovano? A sentire le categorie economiche e le parti sociali, un impiego coerente con i loro studi, ma anche compatibile con la vita privata e sociale, o magari gratificante e però pure sfidante.

I numeri Del resto, siccome è impossibile anche solo pensare di inquadrare i Millennials in categorie, tanto vale attenersi all’oggettività dei numeri. Quanti sono gli under 29 senza occupazione? Considerando l’intero 2016, secondo Veneto Lavoro erano circa un terzo della platea totale: 110.395, di cui 17.675 inoccupati (quelli che non hanno mai lavorato), 31.815 disoccupati (quelli che hanno perso il posto) e 60.910 di rientro (quelli che entrano ed escono dal mercato, ad esempio perché svolgono impieghi stagionali), per oltre tre quarti italiani. Cifre che, guardando all’ultimo trimestre dell’anno, ovviamente erano più contenute: 34.655 giovani, di cui 4.595 inoccupati, 10.825 disoccupati e 19.235 di rientro. Ma si tratta comunque di un esercito che rischia di andare allo sbaraglio, se non viene opportunamente incanalato. «Quando un ragazzo esce dalla scuola o dall’università — sottolinea il direttore Tiziano Barone — spesso non ha le competenze necessarie per cercare un impiego. Inoltre sia le famiglie che le aziende dovrebbero conoscere maggiormente il sistema dei servizi per il lavoro pubblico e privato. In un’epoca complessa com’è questa, il servizio di ricerca e selezione diventa strategico: è per questo che la Regione si impegna a potenziare iniziative come Garanzia Giovani».

Le figure Il problema, va da sé, è far incontrare domanda e offerta. Per esempio, incrociando gli annunci pubblicati sul portale istituzionale ClicLavoroVeneto. it, si trovano 6.326 curricula di under 30 disposti a fare i camerieri e solo 55 aziende che ne hanno bisogno. Una sproporzione che si riflette anche in altre figure professionali, come panettieri (161 a 1), ingegneri (480 a 18), sarti (128 a 5). Poi però si verificano anche situazioni alla Zushi, con i candidati che neanche si presentano ai colloqui. «Ai miei tempi — ricorda Luciano Miotto, vicepresidente vicario di Confindustria Veneto — sarebbe stato impensabile: fare la stagione era praticamente scontato, mentre adesso finiscono per farla quasi solo gli extracomunitari. Detto questo, non penso che i ragazzi di oggi non abbiano voglia di fare: bisogna però che tutti, imprenditori e genitori, facciamo loro capire quale può essere l’opportunità dietro il sacrificio. E più sono colti e preparati, più sono disponibili a mettersi in gioco, poiché vogliono vincere».

Il valore Il valore e il disvalore sociali sembrano infatti avere un notevole peso sulle scelte lavorative dei giovani veneti. «Il mestiere di agricoltore — osserva Martino Cerantola, numero uno di Coldiretti Veneto — non è più visto come una volta, quando era l’ultima possibilità della lista. Adesso registriamo un boom di neo-diplomati e neo-laureati che entrano nelle nostre aziende o addirittura ne fondano di proprie, attirati dall’evoluzione del settore che ha portato questo mestiere verso i temi della sostenibilità ambientale e della promozione del territorio». E gli esempi, dal Prosecco al biologico, sono innumerevoli. Ma lo stesso pare valere anche nel commercio, nella ricettività e nei servizi. «Non abbiamo nessuna difficoltà a trovare addetti alla reception — afferma Massimo Zanon, presidente di Confcommercio Veneto — e anche il ruolo del cuoco gode di popolarità grazie ai vari Masterchef televisivi. Ma quando si tratta di cercare camerieri o lavapiatti, ci scontriamo con la convinzione dei ragazzi italiani che non si tratti di lavori alla loro altezza. Evidentemente a casa c’è chi li mantiene». «Spesso preferiscono lavorare in un ristorante a Londra — aggiunge Marco Michielli, leader di Confturismo Veneto — e per ben più del tempo necessario a imparare l’inglese. Nel mio albergo non riesco a trovare italiani: se sono maschi chiedono turni compatibili con la spiaggia al pomeriggio e con la discoteca alla notte, se sono femmine vorrebbero diventare maître appena tre mesi dopo che maneggiano le posate. Non dimenticherò mai la risposta di una mia storica cameriera, con problemi di bilancio familiare, alla mia proposta di ingaggiare anche sua figlia: “Me fiola a far la stagion? Mai”. Capite?».

La flessibilità I sindacati però difendono i giovani disoccupati. «Ne conosco molti di ben disponibili a sperimentare — dice Onofrio Rota, segretario regionale della Cisl — malgrado la comprensibile propensione a seguire un percorso professionale in continuità con quello formativo. C’è però un problema di precarietà eccessiva: orari troppo flessibili, stipendi troppo bassi». «Vedo tanti ragazzi che fanno sacrifici — condivide Gerardo Colamarco, leader veneto della Uil — a costo perfino di emigrare. Chiaro che poi, se possono, cercano di evitare di farsi sfruttare con il sistema dei voucher».

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