L’impresa teme più la mancanza di talenti che di soldi

Andrea Frollà - AFFARI&FINANZA del 20/11/2017 | 24 Novembre

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LO EVIDENZIA L’ULTIMO GROWTH BAROMETER SUI FATTORI DI RISCHIO PER IL SISTEMA DELLE PMI ITALIANE REALIZZATO DA EY E PRESENTATO IN OCCASIONE DELLA CONSEGNA A RUFFINI DEL PREMIO “IMPRENDITORE DELL’ANNO”

Roma L’ evoluzione demografica, lo sviluppo della globalizzazione e la trasformazione digitale sono i tre fattori che impatteranno maggiormente sulle strategie delle piccole e medie imprese familiari di tutto il mondo. Ci sono alcuni elementi come la necessità di inserire competenze qualificate e l’aumento della competizione, legata in particolare all’ingresso di nuovi attori sui mercati, che in Italia sono percepiti come dei possibili ostacoli alla crescita. Ma alle nostre aziende non mancano fiducia e ambizione. E il tandem formato dalla crescita per linee esterne e dall’aumento dell’efficienza delle filiere sarà la leva decisiva per sostenere ricavi e produttività. A fotografare questo scenario è il Growth Barometer Italy di EY, presentato durante la cerimonia dell’edizione 2017 del “Premio EY - L’Imprenditore dell’Anno”, realizzato con il supporto di Hsbc e Spencer Stuart, che ha visto primeggiare il presidente e ad di Moncler, Remo Ruffini, nella categoria nazionale e nove manager dell’imprenditoria italiana nelle altre categorie. L’analisi rientra in un più ampio rapporto globale, da cui emergono alcuni fattori considerati a impatto immediato nei prossimi 12 mesi. Spiccano su tutti i mutamenti demografici, indicati da oltre un terzo del campione, e la trasformazione tecnologica (24%). Sentito è anche il tema dei talenti, con la difficoltà nel reperire le competenze necessarie che pesa più dell’insufficiente flusso di cassa, che è invece uno degli elementi più sfidanti per le imprese non familiari. In questo contesto globale si inquadra il clima di fiducia segnalato dalle Pmi italiane, decise a sostenere la ripresa del nostro motore economico e più ambiziose delle aziende degli altri Paesi. Oltre la metà punta infatti a una crescita compresa tra il 6% e il 10% nel corso del 2018 (lo stesso indice si ferma al 34% nel resto del mondo). In linea con le altre aree del pianeta è invece il 30% che prevede una crescita massima di 5 punti percentuali, mentre leggermente maggiore è la percentuale di coloro che prevedono una contrazione (7% in Italia, 5% a livello mondiale). Come centrare questi obiettivi più o meno sfidanti? La principale leva di crescita per il middle market italiano è individuata nel consolidamento tramite M&A, che supera il 20% delle preferenze. Le aziende, spiegano gli analisti di EY, cederanno le attività per tre motivi: focalizzarsi sul core business, accedere a nuovi mercati geografici e aumentare le quote mercato. Un altro importante punto di svolta riguarda l’accelerazione digitale. Ed è interessante notare in particolare l’attenzione all’automazione robotica dei processi, già adottata dall’11% delle aziende (contro il 5% a livello globale) e nei piani futuri di un ulteriore 15%. «Le imprese che sono riuscite a restare competitive e ad espandere il proprio business, anche nella fase più acuta della difficile congiuntura che abbiamo attraversato negli ultimi anni, sono quelle che si sono internazionalizzate e che hanno affrontato un processo pervasivo di trasformazione digitale, ripensando i propri processi e dotandosi delle giuste competenze», sottolinea Donato Iacovone, amministratore delegato di EY in Italia e managing partner dell’area Mediterranea, che batte con forza sul ferro della formazione: «È un tema cruciale per il successo delle nostre aziende. Se in Italia è ancora difficile trovare persone con skill digitali e tecnologiche adeguate, l’open innovation può diventare una leva efficace per dotarsi delle competenze necessarie. Le imprese italiane ne sono consapevoli e vediamo crescere con successo le iniziative di cooperazione con realtà innovative e centri di ricerca».

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