LA RIVINCITA DEGLI ANTIPATICI (ma solo per lavoro) di Elvira Serra

Fonte: Corriere della Sera | 15 Febbraio

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Spesso impopolari tra i colleghi perché troppo esigenti e poco inclini a compromessi. Ma portano efficienza e meritocrazia.

Sono quelli più esigenti, non fanno mai sconti, a cominciare da se stessi. Pretendono, non si accontentano, talvolta sono così testardi e poco malleabili da risultare «impossibili». Antipatici, insomma. Come Lucy Kellaway, ancora per pochi mesi columnist del Financial Times (lo lascerà d’estate per insegnare matematica nelle scuole più disagiate di Londra con la sua nuova Fondazione). Sul quotidiano economico qualche giorno fa ha scritto un commento dal titolo eloquente: «Sono una persona difficile al lavoro e felice di esserlo». Lei puntualizza che — guarda caso — sono solo i colleghi maschi a giudicarla così «faticosa». Ma si è dovuta arrendere all’evidenza, facendone però un bandiera, quando sua figlia le ha detto: «Mamma, tu non ti rendi conto di quanto puoi essere difficile».
Il leader ideale
Eppure, oltre che per una questione di autostima, essere esigenti, soprattutto in posizioni di comando, è l’unico modo per raggiungere determinati risultati. «Gli studi sulla leadership fin dagli anni Cinquanta hanno dimostrato che un modello troppo democratico non sempre è funzionale: quando si hanno poco tempo e scarse risorse, la guida autoritaria risulta quella più efficace», spiega Vincenzo Russo, docente di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni allo Iulm di Milano. «Gli antipatici, se vogliamo chiamarli così, sono quelli che adottano sì una logica molto autoritaria, ma anche molto meritocratica. L’ideale, come teorizzarono Robert Blake e Jane Mouton nel 1964, sarebbe un mix tra il leader socio-affettivo più attento alla dimensione relazionale e quello più orientato all’obiettivo».
Nessun compromesso
Essere poco inclini al compromesso, per esempio, è servito all’imprenditore bolzanino Patrizio Podini a realizzare l’impossibile: 711 punti vendita in tutta Italia, più di due miliardi di fatturato nel 2015 e 5.900 dipendenti con MD Spa, terzo gruppo dell’hard discount in Italia. «Ho fondato l’azienda a Napoli nel 1994. Riesce a immaginare che cosa vuol dire esportare nel Mezzogiorno la cultura austroungarica precisa e rigorosa con la quale mi sono formato?». Podini non si considera antipatico nell’accezione caratteriale: «Sono simpaticissimo». Però ammette che le cose che chiede «non devono essere discusse», semmai «fatte». «Nel 1997 di fronte alla divergenza di punti di vista con i miei soci ho acquistato tutte le loro quote e sono diventato l’unico proprietario».
Elogio dell’antipatia
E invece non ha nessuna difficoltà ad ammettere di essere proprio «rompiscatole» Angela Formaggia, titolare milanese della ormai trentenne Sartoria Angela Alta Moda, sei dipendenti a Milano oltre alle collaboratrici e a uno svariato numero di fornitori con i quali litiga senza problemi arrivando alle minacce: «Di non pagare, funziona sempre...». «Mi rendo conto di apparire molto antipatica in certi momenti, magari vicino a una consegna o a un evento. Lì non ammetto scuse, le parole “non è possibile” o “non ce la faccio” non esistono nel mio vocabolario, sono cancellate». Anche lei, come Lucy Kellaway, ha una figlia, Michela, che glielo ricorda piuttosto spesso. «Diciamo pure ogni giorno: “Mamma sei impossibile”. Però credo sia questo il segreto del passaparola che ci fa arrivare clienti da Londra, Zurigo, Sudafrica».
Dettare la linea (ma non dettar legge)
«L’importante è che il rigore venga applicato in maniera funzionale, e non per creare un clima di terrore», avverte Caterina Gozzoli, docente di Psicologia del conflitto e della convivenza organizzativa alla Cattolica. «Essere “difficili” in contesti di lavoro che tendono all’omologazione è una buona cosa, consente di avere idee nuove. Poi ci sono i top manager, che possono permettersi di osare di più, di essere innovativi e così stimolare anche gli altri. L’importante è che il capo detti la linea e non detti legge. Perché in questo caso sarebbe “antipatico” e basta. Senza attenuanti».

Fonte: Corriere della Sera

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