Il lascito in materia economica della legislatura che si sta concludendo, e in particolare degli ultimi due governi, è un’Italia che si è rimessa in moto e che ha realizzato insieme, come sottolineato da Pier Carlo Padoan nel suo intervento del 13 gennaio su queste colonne, obiettivi di finanza pubblica e importanti riforme strutturali.
Tra queste ultime, efficaci provvedimenti di politica industriale - dalla nuova Sabatini al superammortamento e iperammortamento, dagli investimenti nelle infrastrutture di trasporto al piano per la banda ultralarga – e di politica territoriale - Patti per il Sud, sblocco nell’utilizzo dei fondi europei, credito d’imposta per gli investimenti delle imprese nel Mezzogiorno, nuove misure per i giovani che vogliono fare impresa.
È a partire da questo impianto che Carlo Calenda e Marco Bentivogli tratteggiano, nell’intervento ospitato dal Sole 24 Ore il 12 gennaio scorso, un Piano industriale per quella “fase 2” della politica economica che Padoan indica per la prossima legislatura, un Piano fondato su tre pilastri: competenze, impresa, lavoro. Le indicazioni che Calenda e Bentivogli forniscono in materia di innovazione e competitività, e che mi trovano del tutto d’accordo, si concentrano sul rafforzamento del “motore” della crescita e sul suo consolidamento: garantire al nostro Paese una prospettiva di crescita stabile e duratura, condizione indispensabile per riassorbire le ferite della crisi 2008-13, la più lunga e profonda dal dopoguerra.
C’è un tema che peraltro va messo meglio a fuoco affinché la stessa politica industriale possa trovare gambe concrete per camminare e dare i suoi frutti. È il tema del consenso attivo dei cittadini intorno al funzionamento del “motore” della crescita. Il punto è che il fattore umano è oggi il fattore chiave per lo stesso funzionamento dell’economia, e non parlo solo dei lavoratori più coinvolti nei processi di controllo e regolazione dei processi di automazione e di Industria 4.0, ma dell’insieme dei lavoratori, anche quelli addetti alle linee di montaggio o collocati nella grande distribuzione, fino ai lavoratori che vivono le situazioni più marginali nei servizi ausiliari della produzione. Per non parlare dei giovani che ancora non hanno lavoro o dei lavoratori anziani espulsi dalle aziende in crisi.
Si tratta di situazioni che sono presenti in tutto il nostro Paese - anche se, non ce lo possiamo nascondere, in misura decisamente maggiore nel Mezzogiorno d’Italia - e che generano senso di estraneità, frustrazione, spesso anche rabbia. Il fatto è che, negli anni Duemila, la stagnazione prima e la crisi poi hanno aperto nella società italiana ferite che rischiano di minare la stessa tradizione del nostro popolo, fatta di gusto per il “saper fare” (mani-fattura e Made in Italy) e al tempo stesso di tolleranza e solidarietà umana. La risposta a tutto questo non può essere la riedizione con nomi nuovi di un assistenzialismo nemico della dignità dei cittadini, dei lavoratori, dei giovani che il lavoro lo cercano. La risposta passa invece per la capacità di ascoltare i bisogni delle persone e dare voce e sostegno a tutti coloro che cercano di costruire per sé e per gli altri, individuando strategie “al servizio” delle energie positive presenti nella società civile affinché si diffondano e siano traino di fiducia e speranza per tutti, a cominciare da chi teme di non farcela.
Questa risposta richiede di mettere in campo più strumenti, a cominciare certo da quelli indicati da Calenda e Bentivogli in termini di innovazione, di competitività e di relazioni industriali che valorizzino di più il lavoro. Ma richiede anche di potenziare il Jobs Act - una grande riforma volta all’inclusione nel lavoro di quanti ne sono ai margini - sul versante degli ammortizzatori sociali, delle politiche attive, del reddito di inclusione. E richiede di investire sul protagonismo di imprese, lavoratori e cittadini del Mezzogiorno, come abbiamo fatto con “Resto al Sud” e Banca delle terre per i giovani che vogliono fare impresa, con il credito d’imposta investimenti e con il Fondo per la crescita delle Pmi meridionali.
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