Il buon manager allena alla crescita gli uomini del suo team

IL SOLE 24ORE - Alessandro Cravera | 5 Dicembre

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Qual è il valore aggiunto che un manager dà al suo team? Qual è il suo scopo? Possono sembrare domande scontate, ma non lo sono. Possiamo ad esempio affermare che un bravo manager sia quello che organizza al meglio il proprio team e stabilisce di volta in volta le giuste priorità da affrontare? Vi sembra una definizione ragionevole? Efficace? Corretta? Certamente un manager in grado di raggiungere il traguardo descritto sarebbe valutato positivamente in molte organizzazioni e darebbe un contributo di valore alla gestione del team. Discorso chiuso, quindi?

E se vi proponessi una descrizione del bravo manager come di colui che mette in condizione il proprio team di organizzarsi autonomamente e di decidere le giuste priorità? Cosa pensereste di questa interpretazione? Corretta? Migliore di quella precedente? Vi saranno manager che preferiranno la prima descrizione di ruolo e altri che si riconosceranno maggiormente nella seconda. Analogamente, vi sono organizzazioni che adottano e sviluppano una visione manageriale del primo tipo e altre che puntano a creare manager del secondo. Il ruolo manageriale oggi sta pertanto attraversando una profonda crisi di identità. All’interno di una prassi di «buon management» convivono stili e comportamenti organizzativi molto differenti tra loro.

Il tema del coaching manageriale si inserisce in questa crisi identitaria. Per il «manager organizzatore» il coaching è una modalità che gli consente di delegare ai membri del suo team alcuni compiti che al momento sta seguendo in prima persona. Il «manager organizzatore» basa la propria azione di coaching sull’esempio, sui consigli ai collaboratori e sulle risposte alle loro domande. Gli strumenti operativi di cui si avvale sono il problem solving operativo, l’affiancamento, l’osservazione e il relativo feedback, la delega e il controllo del corretto e pieno svolgimento delle attività assegnate. Adottando questo approccio, il principale effetto che ottiene è di riuscire a staccarsi dalla stretta operatività e accrescere il perimetro di azione e le competenze dei suoi collaboratori.

Per la seconda tipologia di manager, che potremmo definire «creatore di contesti organizzativi», il coaching assume una valenza molto più ampia. Il suo obiettivo è accrescere la consapevolezza dei suoi collaboratori e la loro assunzione di responsabilità. Le domande svolgono pertanto un ruolo superiore alle risposte. Ogni sua azione, decisione o comportamento è orientato a sviluppare l’autonomia e lo spirito di iniziativa delle persone del proprio team e ad alimentare un fortissimo senso di scopo comune.

Questo tipo di manager non si limita al binomio delega-controllo. Lavora affinché i suoi collaboratori si facciano autonomamente carico di attività che ritengono utili per il team e il risultato da raggiungere. Il suo focus è lo sviluppo di una imprenditorialità diffusa. Tutti devono sapere qual è lo scopo comune da perseguire e, all’interno di quella cornice, devono continuamente allineare la propria azione con quelle dei colleghi. Anche gli strumenti di coaching di cui si avvale si ampliano. La principale differenza rispetto all’approccio precedente è che questo manager non distingue più tra azioni di coaching (affiancamenti, feedback, ecc.) e azioni operative. Ogni sua decisione ha sempre una doppia valenza. Ogni problematica operativa, ogni interazione con i collaboratori, ogni cambiamento di impostazione è utilizzato come uno strumento per far crescere l’autonomia, lo spirito di iniziativa e il senso di scopo dell’individuo e del team.

Alla base, vi è certamente una profonda conoscenza di ogni collaboratore e delle sue attitudini e peculiarità, ma la sua azione manageriale mantiene anche una dimensione collettiva che abbraccia le dinamiche di team nel loro insieme. Questo tipo di manager perde la sua valenza di perno centrale del team. Il suo scopo non è prendere la giusta decisione o risolvere un problema. Al contrario, tutti i suoi sforzi sono orientati a costruire un contesto organizzativo in cui le persone sappiano prendere la giusta decisione e risolvere i problemi che di volta in volta emergono. Fa un lavoro forse meno visibile, ma certamente più profondo e incisivo.

Non sarebbe corretto affermare che questa seconda interpretazione manageriale sia migliore della prima. Il management non è una scienza, è una pratica che si apprende soprattutto tramite l’esperienza e che si radica e si sviluppa in un dato contesto. Vi sono mestieri, team di lavoro e intere organizzazioni in cui il manager organizzatore rappresenta certamente un importante passo avanti rispetto alla classica interpretazione del ruolo manageriale «comando e controllo». È però importante sottolineare che questa visione del «manager organizzatore» non rappresenta l’ultima frontiera.

Contesti di mercato sempre più rapidi e complessi e persone con aspettative crescenti e forti professionalità spingono decisamente verso l’adozione di uno stile di management che favorisca l’emergere di dinamiche auto-organizzative all’interno dei team.

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