Nato nella Silicon Valley, si sta diffondendo anche in Italia soprattutto tra start up e giovani aziende tecnologiche. Così migliorano produttività e rapporti interpersonali
ROMA - Dovrebbe essere un momento piacevole ma spesso si trasforma in un’ulteriore occasione di stress. La pausa pranzo, nei piccoli studi quanto nelle mega aziende, è di difficile organizzazione. Il capo che urla, il collega che impone una riunione puntualmente alle 13, il ristorante del quartiere che sembra voglia avvelenare i malcapitati. La vecchia abitudine di tornare a casa per un piatto caldo? Praticamente impossibile. Il pranzo fuori casa è ormai uno stile di vita per 34 milioni di italiani che spesso però si accontentando di un panino, una pizza, o al massimo un primo. Ecco allora la novità. Molte aziende cominciano a puntare alla pausa “social” per dare più serenità ai dipendenti. Prenderà così sempre più piede, nel 2018, il fenomeno del “social eating aziendale”.
Nato nella Silicon Valley, si sta diffondendo anche in Italia soprattutto tra start up e giovani aziende tecnologiche. Uno studio di un gruppo di ricercatori in scienze sociali e scienze nutrizionali, della Cornell University, ha dimostrato come il rituale del consumo dei pasti insieme è una sorta di “collante sociale”. Di più: migliora le performance dei dipendenti fino a far raddoppiare la cooperazione tra i membri del team. La pausa pranzo come metodo dunque: team building in cucina, networking e benefit aziendali. Ecco allora che c’è chi decide di puntarci come forma di business. Foorban è il primo food delivery italiano che propone un ristorante digitale a metà strada tra cucina e logistica. Nato da un anno, sull’idea di tre under 30, controlla tutto il processo dalla produzione alla consegna. Il pranzo si ordina via app ed è consegnato in 20 minuti dall’ordine. Funziona così: «Le aziende scelgono i nostri piatti come benefit per i dipendenti – spiega il ceo e co-founder Stefano Cavaleri – e con alcune stiamo sperimentando pranzi settimanali per il team building.
A richiederli sono soprattutto le startup tecno per cui il mangiare assieme è un modo per alleggerire la tensione». Un esempio? «Da due mesi Foorban ha aperto il suo primo ristorante digitale a Milano all’interno del nuovo quartier generale di Amazon. Lo spazio allestito nella multinazionale è di circa 60 metri quadrati e ospita dei grandi frigoriferi a vista dove i dipendenti Amazon fanno il pick up dei piatti del giorno cucinati freschi dagli chef Foorban». L’Osservatorio sul Food Delivery elaborato da Just Eat Italia (realtà specializzata nel mercato per ordinare cibo a domicilio), fotografa il fenomeno delle ordinazioni per il pranzo dai luoghi di lavoro. «C’è una crescita importante, pari al più 137% nell’ultimo anno - spiega Daniele Contini, Country Manager di Just Eat in Italia - il 36% prenota il pranzo dalle due alle tre volte al mese e il 32% lo fa in gruppi di colleghi”. Chi sono i professionisti che preferiscono mangiare in ufficio? “Il 41% sono impiegati, il 18% liberi professionisti, il 33% studenti.
I più appassionati del digital food delivery sono quelli che lavorano nel settore sanitario che scelgono hamburger e insalate. I commerciali fanno grandi ordini di giapponese, hamburger e panini o piadine». E ancora: chi lavora nella comunicazione e nel marketing ama soprattutto panini (il 41% in più rispetto a chi fa parte dell’industria del food & beverage) e cibo giapponese (il 53% in più rispetto ai designer del mondo della moda); i nuovi professionisti del digitale sono invece fanatici di hamburger che scelgono nell’82% dei casi, mentre i bancari amano la pasta per il 71% in più di chi lavora nel mondo dello spettacolo. Se poi il digital food delivery è un fatto generazionale ecco come ad usarlo maggiormente sono i lavoratori millennial (26-35 anni) a pari merito con la Y generation (entrambi rappresentano il 36%), seguiti dalla generazione degli Xennial (36-45) con il 20% e dagli over 45 (8%).
E ancora ci sono delle differenze per zone geografiche. Le città in cui si ordina frequentemente il pranzo sono Milano, Bologna, Roma, Torino e Genova, ma il trend cresce con ritmi sostenuti in altre aree: in testa Pisa (+1186%), ancora Bologna (+685% ), Brescia (+298%) e Catania (+222%). Cambia anche la qua-lità: un’impennata notevole degli ordini di cibi healthy come insalate, burger veg o piatti vegetariani, è in aumento a Trieste e a Bari; i tramezzini sono in salita a Torino, le crepe a Bologna, o ancora un trend positivo sulle cucine straniere più particolari come quella peruviana ordinata a Roma, l’indiano a Pisa e lo spagnolo e il medio orientale a Milano. Infine una buona notizia: i lavoratori italiani hanno una crescente attenzione all’alimentazione bilanciata, più dei cittadini di altri paesi europei. Lo dice il sondaggio Food (Fight Obesity through Offer and Demand) 2017, presentato al Parlamento europeo.
Il progetto (cui aderiscono ong, imprese, istituzioni e università di tutta l’Ue) raccoglie interviste e nel 2016 ha coinvolto oltre 20 mila lavoratori e 1.300 ristoratori in Austria, Belgio, Repubblica ceca, Francia, Italia, Portogallo, Slovacchia e Spagna. Nel 2016, l’87% degli italiani ha dichiarato di considerare l’equilibrio nutrizionale dei pasti serviti un criterio importante per la selezione di un ristorante. Ma soprattutto il valore è in crescita rispetto al passato e al di sopra della media degli altri paesi Ue (77%).
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